Analisi politica e in punto di diritto
Roma impugna le legge che indice il
referendum sull’indipendenza del Veneto (ma anche quella che propugnava una
maggiore autonomia)
Due considerazioni su ciò che avevamo -
con grande facilità - profetizzato. Dunque, Roma ha colpito ancora.
Come scrive il Corriere, “il governo
nella seduta di venerdì (8-8-14) ha impugnato le Leggi Regionali 15 e 16
istitutive del referendum per l’indipendenza del Veneto. L’impugnazione è stata
proposta dal Ministro per gli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta,
approvata in consiglio dei ministri e annunciata in conferenza stampa dal
sottosegretario alla presidenza del consiglio Graziano Delrio.
I termini per il ricorso scadevano il 24 di agosto, ora starà alla Regione
opporsi di fronte alla corte costituzionale”. Che cosa succede ora?
Dopo
attenta riflessione svolta con il C.D. di Europa Veneta, ci siamo convinti che
un pronunciamento dei Veneti sull’indipendenza della loro terra potrebbe essere
più vicino di quanto si creda.
La
situazione sul piano giuridico è confusa ma, combinata con il particolare clima
politico, offre grandi varchi per la spallata finale.
Innanzitutto,
un dato politico: i grandi sconfitti dall’iniziativa del governo sono i
consiglieri del centrodestra (cioè PDL + FI), che avevano negoziato con la Lega
il loro appoggio alla proposta di legge 342, ottenendo in cambio i voti leghisti per
una legge regionale parallela, che istituisce un referendum sull’attribuzione
al Veneto di uno statuto speciale.
Così,
si sono approvate quasi insieme la L.R. 15-2014, che indice il referendum sullo
statuto speciale e la L.R. 15-2014, che indice il referendum sull’indipendenza.
Come
volevasi dimostrare, il dialogo è del tutto impossibile con la massoneria
romana, che tiranneggia sulla penisola da 150 anni. A Roma non importa un
accidenti che i Veneti si sognino di darsi una qualsiasi forma di autogoverno.
È come se lo schiavo in catene volesse intavolare trattative con il padrone: la
risposta (se proprio non gli si possono dare delle salubri frustate) di solito
è un sonoro calcione. Così è stato.
Quindi,
di tutto si può accusare Roma, tranne che di incoerenza. Le frotte di
ricorsi davanti alla C.C. contro tutte le leggi regionali possibili, hanno
sempre dimostrato che il principio di “leale collaborazione” - sempre
invocato dalle leggi italiane nei confronti degli enti locali - è
nell’alma Capitale una specie di carta igienica.
Arroganza
totale, come al solito. Soprattutto in questo momento di gravissimo collasso,
sia economico, sia politico-istituzionale, il clima di tensione e pericolo
avrebbe dovuto consigliare i Romani di tentare di sottrarre al Consiglio
Regionale l’appoggio degli ex pidiellini, evitando di
impugnare la loro L.R. 15-2014. Per fortuna nostra, così non è stato.
Ora tutti penseranno che valga la pena di lottare solo per la soluzione di
fondo, cioè per l’indipendenza.
Anche
perché l’autonomia te la concedono (e se il potere non vuole, non c’è niente da
fare), mentre l’indipendenza te la prendi (con le buone o con le cattive).
Assodato
che sul piano politico lo scontro Roma contro Venezia è ora entrato nel vivo,
pensiamo a ciò che accadrà. Le due leggi potrebbero prendere strade diverse.
Mentre la L.R. 15-2014 per l’autonomia si affida a fondi pubblici controllati
dallo Stato per la sua esecuzione, la L.R. 16-2014 si affida alla raccolta di
fondi privati, quei famosi 14 milioni di euro da raccogliere.
L'aspetto
giuridico importante è che l’impugnazione del governo contro le due leggi
regionali davanti alla Corte Costituzionale, per illegittimità costituzionale,
non tocca minimamente la validità e l’efficacia delle due leggi regionali.
Sembrerà strano, ma è così. Qualsiasi legge ordinaria può essere impugnata
davanti alla Corte Costituzionale, ma finché questa non perviene a sentenza di
accoglimento del ricorso, la legge va avanti per la sua strada.
E
non risulta neppure che esistano procedure d’urgenza per accelerare i tempi del
pronunciamento. Inoltre, pendente il ricorso, sarebbe arduo profilare quegli
“atti contrari alla Costituzione” che - ex art. 126 Cost. - legittimerebbero lo
scioglimento del Consiglio Regionale.
Se
sul punto di legittimità si deve pronunciare la Suprema Corte, come potrebbe
spiegare il governo il bisogno di adottare provvedimenti repressivi che danno
già per scontata l’illegittimità?
In
teoria, una possibile remora che avrebbe potuto dissuadere la Regione
dall’applicare una legge in pendenza di ricorso sarebbe dover annullare i suoi
effetti dopo l'accoglimento del ricorso.
Ma
la L.R. 16-2014 non attribuisce diritti, né soggettivi, né patrimoniali.
Quindi, in questo particolare caso, non si producono effetti giuridici: si
consultano i cittadini del Veneto e punto. Le questioni che sorgono sono tutte
politiche: se i Veneti votano in maggioranza sì, il Consiglio può
proclamare l'indipendenza, ma a quel punto Roma è tagliata
fuori.
Infine,
non può neppure profilarsi il danno erariale conseguente al fatto che il
referendum sarebbe stato svolto in base ad una legge poi annullata: infatti, i
finanziamenti sono privati, quindi per l’erario non v’è pregiudizio alcuno.
Un’ultima
considerazione per concludere: la Regione è legittimata, quando avrà raccolto
fondi sufficienti, a tenere la consultazione quando aggrada al Consiglio. Se lo
fa prima della sentenza della C.C. ha vinto la sua battaglia per le vie di
fatto: una sentenza postuma, “a babbo morto”, lascerebbe il tempo che trova,
anzi coprirebbe di ridicolo uno Stato, la cui residua, scarsa, credibilità
riceverebbe a quel punto un colpo forse fatale.
Viva
San Marco!
Edoardo Rubini